Capita spesso, quando amici e conoscenti mi chiedono aggiornamenti sulla nostra avventura birraia, di sentirmi rivolgere domande sul tipo di birra che facciamo.
“Fate della ambrate? Delle rosse belle corpose? Una nera tosta? Delle birre DOPPIO MALTO?”
Questi luoghi comuni sulla birra suscitano spesso l’ilarità di chi di birra un po’ se ne intende (e che frequentemente si dimentica di essere stato inesperto a sua volta), scatenando anche delle vere e proprie “prese in giro” (certe volte poco simpatiche) nei confronti di neofiti che magari hanno solo la voglia e la curiosità di imparare e avvicinarsi all’argomento.
Vorrei quindi approfittare di questa pagina del mio diario per fare un po’ di chiarezza e sfatare uno di questi luoghi comuni. Mi piace pensare che tramite il mio blog, posso aiutare qualcuno dei miei pochi lettori (siete pochi ma so che ci siete 😉) ad evitarsi una figuraccia e al contempo dare un mio piccolo personale contributo al diffondersi della cultura birraia.
La Birra Doppio Malto
Come avrete già capito dal titolo dell’articolo LA BIRRA DOPPIO MALTO NON ESISTE!
O meglio: non identifica chiaramente una tipologia di birra.
Se volessimo descrivere la birra che vogliamo ordinare al bancone di un ipotetico pub che si rispetti (e quindi con personale competente sull’argomento), dovremmo chiedere di uno stile ben preciso (es. Stout, Bitter, Blanche ecc…) o perlomeno, qualora non conoscessimo lo stile della birra che vogliamo, dovremmo provare a descriverla per mezzo di indicatori organolettici (es. vorrei una birra poco amara, molto beverina e di bassa gradazione alcolica) sarà poi il barista a consigliarci lo stile giusto che più calza alla descrizione da noi fatta tra quelle che ha a disposizione.
Da dove deriva quindi il termine “doppio malto”?
Chiariamo subito che questa definizione non fornisce alcuna informazione in merito alla composizione dei malti con cui una birra è fatta. Non ci sono quindi per forza “due malti” o la quantità di malto non è “doppia” rispetto a quella di altre birre.
Chiariamo subito che questa definizione non fornisce alcuna informazione in merito alla composizione dei malti con cui una birra è fatta. Non ci sono quindi per forza “due malti” o la quantità di malto non è “doppia” rispetto a quella di altre birre.
Si tratta di una mera definizione fiscale derivante dalla legislazione italiana che ha cercato, a partire dagli anni ’60, di classificare la birra in modo da poter poi stabilire la relativa tassazione (le accise). Questa classificazione si basa sul contenuto alcolico della birra ma anche sui Gradi Plato, unità che indica la quantità di zuccheri presenti nel mosto che successivamente verrà trasformato in birra (prima quindi della fermentazione).
L’idea di base è che più zuccheri ci sono nel mosto, più alcolica potenzialmente sarà la birra (anche se questo non è proprio corretto perché dipende da quanti zuccheri il lievito riuscirà a convertire in alcool durante la fermentazione).
Per comodità riassumo qui di seguito la classificazione come prevista dalla legge (16 agosto 1962 n°1354 e ss.mm.ii.):
Nonostante nell’immaginario collettivo le “doppio malto” siano comunemente considerate birre piuttosto alcoliche, potete vedere dalla tabella sopra riportata che non è necessariamente così. Potremmo quindi trovarci di fronte a birre classificate doppio malto ma con gradazione piuttosto bassa e quindi con una consistente quantità di zuccheri non convertiti dalla fermentazione.
Buona birra a tutti e come sempre… Forza Baroni 💪!